Lo scorso venerdì 17 marzo presso l’Auditorium di San Pio X si è tenuto un toccante incontro circa il valore, purtroppo sempre più scomodo ed estraneo, della carità. Ad intervenire sono state personalità note e notevoli, quali il Cardinale Francesco Montenegro, Arcivescovo emerito di Agrigento, l’Ammiraglio Giovanni Pettorino, che dal 2018 al 2021 ha ricoperto la carica di Comandante generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia costiera e, non di altrettanta fama, ma di grande spessore umano e degno di uguale stima, il giovane Moussa, originario del Mali, ma costretto a percorrere Algeria, Libia e una distesa di mare per poter giungere nel nostro Paese. Il tutto moderato con grande professionalità dal prefetto Sandra Sarti, Presidente della Fondazione Vaticana Aiuto alla Chiesa che soffre.

L’incontro è stato aperto dal Parroco Don Andrea Celli che, nell’introdurre il tema della conferenza, ossia il tema tragicamente attuale dell’immigrazione, ha mostrato ai presenti “due pezzi di legno”, consegnatigli da una parrocchiana: pezzi provenienti dalla purtroppo nota Cutro, pezzi dunque sicuramente toccati da qualche immigrato naufragato e probabilmente ancora di salvezza per qualcuno di loro. Due pezzi di legno con un chiodo lungo che li tiene insieme formando un crocifisso, che – ha annunciato Don Andrea – sarà il crocifisso “ufficiale” del nostro Auditorium.

Il primo ospite a parlare è stato Moussa, e con le sue parole  semplici, dirette e toccanti ha trasportato tutto il pubblico indietro nel tempo, facendogli ripercorrere il suo lungo viaggio verso la salvezza, verso quella che, speriamo, possa essere per lui una vita nuova e migliore: costretto alla prigione e alle torture nel suo stesso Paese dopo il colpo di Stato nel 2012; scappato in Algeria, ma poco dopo ingannato e ritrovatosi schiavo in Libia; e infine gettato a forza su un barcone, che tutto era tranne che la “barca vera” che gli avevano promesso. Un’orribile avventura che grazie a Dio e agli uomini della Guardia Costiera si è conclusa felicemente, e che oggi Moussa racconta a noi, facendoci aprire gli occhi su una realtà che troppo spesso e troppo facilmente volutamente ignoriamo, semplicemente cambiando marciapiede ogni qual volta ci capita di incontrare tutte quelle persone che ci gridano aiuto attraverso gli occhi di Moussa.

Il secondo intervento è stato quello del Cardinale Francesco Montenegro, che nel presentarsi si è definito un artigiano che si è giocato il cuore a Lampedusa: vedere è chiedersi cosa significa essere uomini. Ha parlato di una storia lunga, una storia a cui ormai noi ci siamo abituati e rassegnati, nell’attesa del prossimo naufragio, “perché abbiamo deciso che questa gente deve arrivare tra noi, ma sarebbe meglio se non arrivasse, e se arriva potrebbe anche pagare il pegno, il biglietto alto della vita”. Ed è un triste paradosso, ha commentato il Cardinale, che proprio questa gente, che si mette in viaggio perché ha voglia di vivere, debba morire per poter realizzare le proprie speranze, debba morire per poter vivere. Ma è questa la gente di cui tutti noi abbiamo bisogno, che dovremmo avvicinare invece di respingere, permettendo alle loro storie di interpellarci, permettendo a ogni migrante di mettere in crisi la nostra fede, la nostra carità fragile che eravamo riusciti a trasformare in elemosina, e che invece dovrebbe diventare condivisione e integrazione, e che dovrebbe avere come obiettivo un percorso e un futuro comuni.

Cosa possiamo e dobbiamo fare noi, si chiede il Cardinale? Imparare a guardare il colore del cuore e non quello della pelle, tentare quella indispensabile apertura del nostro cuore, perché “finché non apriremo il cuore difficilmente si apriranno le case, e l’altro resterà sempre un estraneo”. Imparare a leggere con attualità la Bibbia, a riconoscerne come protagonisti non più e non solo uomini del passato, ma i nostri nomi, i nomi di quelle persone che ancora oggi attraversano deserti e mari in cerca di una terra promessa, i nomi di quelle famiglie che non trovano una mangiatoria dove far nascere i loro figli ma soltanto il freddo abisso dell’oceano. Sforzarci di aprire la porta a quel bambino Gesù che chiede ancora un posto dove nascere.

A parlare per ultimo è stato poi l’Ammiraglio Giovanni Pettorino. Ricordando la vicenda di Salvatore Todaro, sommergibilista che durante la Guerra affondava navi nemiche ma poi soccorreva i naufraghi, quelli che poco prima erano stati suoi nemici, rischiando anche la sua stessa vita, l’Ammiraglio ha ricordato a tutti noi come a motivare la Guardia Costiera non sia solo un obbligo di legge, bensì un obbligo morale. Ci ha informati del fatto che la responsabilità giuridica della Guardia Costiera copre un’area di competenza di circa 500 mila km², ma di come negli ultimi anni i nostri uomini siano andati ben oltre le loro responsabilità, coprendo un tratto di mare di oltre 1 milione di km², ossia la metà del Mediterraneo. E dunque ha ribadito ancora una volta il valore eccezionale dei suoi compagni, colleghi e fratelli, uomini stupendi che hanno messo sempre la loro vita e la loro passione davanti a tutto. Il messaggio che ha lasciato al pubblico? Un’esortazione ad avere umanità, perché “senza umanità non c’è futuro per il genere umano”, perché non abbiamo speranza senza questi sentimenti, senza carità umana e amore verso il prossimo, anche e soprattutto quando è egli difficoltà.

Ha concluso l’incontro Don Andrea, anche lui incoraggiandoci a vivere la carità dentro, nei piccoli gesti, sporcandoci le mani, scambiando una parola con la persona che sta con noi in ascensore. Far passare la carità dal cuore alla testa e alle mani, e dare così un senso alla nostra vita.

Di seguito il video e alcune foto:



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